Conte e le mani avanti

“L’incontro di oggi tra il Club e Antonio Conte è stato costruttivo, nel segno della continuità e della condivisione della strategia. Con esso sono state stabilite le basi per proseguire insieme nel progetto.”

Così recitava il laconico comunicato con il quale veniva confermata la fiducia all’attuale allenatore dell’Inter il 25 agosto di quasi tre mesi fa. Una giornata difficile, nella quale si cercava di mettere da parte la delusione per la finale di Europa League persa contro il Siviglia, e del secondo posto in campionato. Posizione che a, detta di Antonio Conte, appartiene al primo dei perdenti.

Oggi come va? – L’Inter ha cominciato il suo campionato non nel migliore dei modi, raccogliendo solo 12 punti sui possibili 21 in palio. È la peggior partenza in Serie A dalla stagione 2016-17. I numeri comunque sono meno catastrofici di quanto possa sembrare, sia perché rimangono ancora parecchie partite da giocare, sia perché neanche le altre concorrenti stanno andando forte. Ma questa non è un’attenuante, al massimo una consolazione.

Le mani avanti – Ed ecco che il nostro interviene, spiegando che il secondo posto conquistato lo scorso anno è dipeso dall’anomalia stagionale, e il punto con il quale la Juve ci ha sopravanzato è comunque dovuto del freno a mano tirato dai bianconeri una volta conquistato il titolo. E se il secondo punto del discorso può essere in parte condivisibile, il primo non va a vantaggio dello stesso tecnico. In pratica equivale ad ammettere che solo il crollo fisico di una Lazio meno attrezzata e una falsa partenza in campionato dei bergamaschi, ha permesso all’Inter di arrivare seconda all’ultima giornata.

Sognare non costa – E siamo così passati da “il secondo è il primo dei perdenti” a “i tifosi hanno diritto di sognare, ma dobbiamo essere consapevoli”. Come dire, non siamo i più forti e ce la metteremo tutta, ma se dovesse andare male, non guardate me, perché qui non si vince nulla da anni (non come ai tempi di Mourinho o Herrera) e io sono qui solo da cinque minuti. Eppure il tecnico ha avuto per sé un mercato di prim’ordine. Rinforzi di livello internazionale in ogni reparto, e un ingaggio che fa di lui l’allenatore più pagato al mondo dopo Simeone. Addossargli la colpa per ogni cosa che va storta sul rettangolo di gioco è ovviamente ingiusto, aspettarsi però che abbia pure delle responsabilità, magari no.

Quanto vale l’Inter? – Potremmo cominciare dal più grosso punto debole della rosa, ovvero l’assenza di un vero e proprio quarto attaccante. Considerata la fragilità dell’attuale Sanchez, e il fatto che Lautaro e Lukaku non possono giocare sempre, salta all’occhio l’assenza di soluzioni in attacco per fronteggiare le emergenze, che una stagione può sempre presentarti. Specie poi con un calendario fitto. Pinamonti non è ancora considerato davanti a Perisic nelle gerarchie dell’allenatore, malgrado il croato non sia certo una prima punta. Ma anche con questi limiti strutturali, rimane comunque un attacco che non sfigura rispetto a quello di molte altre concorrenti.

Il resto sembra ok – Poco da dire su difesa e centrocampo dove forse i nerazzurri hanno più scelte di ogni altra squadra in campionato. Forti delle cinque sostituzioni a partita, dell’esperienza e delle scelte a disposizione per trasformare la squadra a match in corso, riesce difficile descrivere l’attuale Inter come una squadra che parte a fari spenti. Semmai erano anni che non capitava che l’obiettivo sembrasse quello di lottare per il vertice della classifica, e considerate spese e ingaggi, è difficile far credere ai tifosi che l’essenziale sia il piazzamento europeo. A centrocampo l’Inter può permettersi di far pascolare la controfigura di Nainggolan per pochi minuti, pagare Vecino per tenersi in forma ad Appiano, e comunque le rimangono Vidal, Brozovic, Barella, Sensi, Gagliardini e…Eriksen. Già, proprio lui.

Il danese che non decolla – Un acquisto che avrà fatto sognare in tanti, chi si aspettava un nuovo Sneijder, un’arma impropria del centrocampo, ed invece sembra di essere tornati ai tempi di Mazzarri&Kovacic. Sì, perché il rapporto tra Conte ed Eriksen ha somiglianze inquietanti con l’ex nerazzurro croato e l’uomo che non sapeva cosa farsene. E proprio come allora, si assiste a un muro contro muro dove a perderci è sempre l’Inter. Se da una parte si sentono giustificazioni al danese simili a quelle che si sentivano per Kovacic (sistema di gioco, ruolo, allenatore che non crede in lui e magari gli ruba anche la merenda) dall’altra il credito per Eriksen non è infinito. Per quanto strenui possano essere i suoi sostenitori, prima o poi dovrà pur dimostrare qualcosa anche sul campo, oltre a qualche occasionale prestazione decente. Ad oggi è un lusso, non incide e non è il valore aggiunto di questa squadra, e non ha certo la scusante dell’età come poteva averla Kovacic. Conte, a sua volta, non ha comunque i risultati dalla sua che gli consentono di privarsene mettendosi al riparo dalle critiche.

Modulo scelte e altri aspetti – Non intendo entrare nella questione su quale sia il modulo migliore per affrontare il campionato e le altre competizioni. Ognuno di noi, da semplice tifoso e appassionato, ha le sue risposte e convinzioni calcistiche ma chi scrive non possiede il patentino. Lasciando stare le scelte degli uomini e su come schierarli, ritengo che Conte non abbia tutti i torti a insistere su ciò in cui crede di più. Non per altro, ma perché è quanto ha sempre fatto in carriera: raramente si è dato a esperimenti o stravolgimenti in corsa. Non è quel tipo di tecnico, mi stupirebbe lo facesse proprio ora in un momento in cui si sta giocando un (bel) po’ della sua credibilità come allenatore vincente. Né penso che l’unico problema di questa squadra sia il giocare con la difesa a 3. Del resto assistevamo comunque a partite bloccate con avversarie modeste, anche quando nel recente passato con il predecessore di Conte si usava un sistema di gioco completamente diverso.

Cambiare per cambiare – E per concludere, nonostante tutti i problemi, l’andamento zoppicante, obiettivi che rischiano di sfumare e chi più ne ha più ne metta, non sono un fautore dell’esonero. Sono dell’idea che una società forte degna di questo nome avrebbe dovuto accompagnare Conte alla porta un minuto dopo la fine della scorsa stagione, causa dichiarazioni assurde quando non da licenziamento immediato. Ma ormai che la dirigenza si è detta convinta ha poco senso cambiare ora. E guardando agli ultimi vent’anni, raramente è stata una scelta che ha dato i suoi frutti:

1998-1999: Simoni esonerato nel miglior momento della stagione alla 12° giornata, subentra Lucescu. Risultato? Campionato disastroso, altra girandola di allenatori e stagione terminata con Hodgson all’ottavo posto.

2000-2001: Marcello Lippi licenziato a furor di popolo dopo la sconfitta orrenda di Reggio Calabria e l’eliminazione con l’Helsingborg. Tardelli riesce a scavare partendo dal fondo toccato dal suo predecessore: 5° posto con sconfitte che rimangono indelebili.

2003-2004: Uno dei cambi più riusciti, con Zaccheroni al posto di Cuper che pagò la falsa partenza in campionato dove comunque arrivammo quarti, e in Europa combinammo meno degli altri due anni precedenti, uscendo in un girone dove avevamo vinto le prime due partite.

Il 2011 di Leonardo è l’esperimento più riuscito, dove siamo anche riusciti a vincere la Coppa Italia. Nel 2014-2015 invece Mancini non migliorò l’orrenda situazione lasciata da Mazzarri. Due anni dopo ci fu con la staffetta Mancini-de Boer-Pioli-Vecchi, ultima volta che l’Inter ha cambiato allenatore in corsa e si è vista la peggior stagione degli ultimi 5 anni. In altre parole, cambiare per affidarsi a un traghettatore vuol dire, nella stragrande maggioranza dei casi, mettere in soffitta la stagione da subito.

Alessandro

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Alessandro
L'esistenza del calcio è di per sé un male, l'esistenza dell'Inter rende questo male sopportabile. Portiere a tempo perso, devoto a Gianluca Pagliuca e Julio Cesar, interista da prima di imparare a leggere. Trascorro intere notti a domandarmi come l'Inter abbia potuto spendere dei soldi per Ricky Alvarez.