La grande paura

Quando abbiamo visto Eriksen a terra, qualcosa si è fermato. Quel pigro sabato pomeriggio di giugno, guardando una noiosetta Danimarca – Finlandia, è diventato un incubo nero. Seguendo il pallone, non mi sono nemmeno subito accorto del come e perchè Eriksen fosse caduto, ma quando le telecamere si sono avvicinate è diventato chiaro a tutti.

Ognuno di noi ha pensato a qualcosa di brutto, che aveva già visto. A me è tornato in mente Marc Vivien Foè, che collassa senza senso durante una sciagurata semifinale di Confederation Cup nel 2003. Ma purtroppo non è stato l’unico.

Lo shock si è subito impadronito della giornata. Non credevo a quello che vedevo, non poteva essere nel mondo reale. Dopo i primi secondi però, la realtà bussava alla porta e ci siamo tutti resi conto di essere svegli. Col passare dei minuti anche le condizioni di chi era a casa cambiavano. Il mal di stomaco di tensione era diventato nervosismo, poi tremore e i primi accenni di lacrime si facevano strada. Quando si è fermato il cuore di Christian Eriksen, in un certo senso, si è fermato anche il nostro.

La squadra piangeva attorno a lui, inconsolabile, a coprire il lavoro dei medici. La moglie accorsa sul campo, le persone allo stadio che si abbracciavano e piangevano. I 12 minuti a fissare uno schermo pratica immobile, chi impietrito chi, come me, andando avanti ed indietro per la stanza, in preda ad una crisi di nervosismo e panico.

Come poteva essere tutto vero?

Il tuo cervello che prova a scappare dalla televisione, e lo fa andando su Twitter. E non si rivela una grande idea. Sui social non può esserci nessuna informazione, al di fuori del cerchio della squadra danese e dei medici. Solo lo sciacallaggio dei media nostrani e qualche screen di troppo, tenuta insieme dalla paura più grande, che secondo dopo secondo si faceva certezza.

Fino alla foto rubata dal fotografo, dove si vede Eriksen cosciente con gli occhi aperti e la mano sulla fronte, ero certo che non lo avrei più rivisto. Avevo solo paura di ascoltare dell’annuncio, la paura più grande. Ma grazie alla reattività di Kjaer e dei medici, l’incubo non si è materializzato. E grazie a quella foto è arrivato il primo sospiro di sollievo, confermato poi dalle indescrizioni in ospedale che lo davano cosciente e, addirittura, in grado di parlare.

Una volta sconfitta la grande paura, si può parlare di quello che resta. La sera si viene a sapere che lui ha invitato i compagni a riprendere il match, che ha inviato un messaggio ai compagni di squadra dell’Inter, che Lukaku ha pianto e gli ha dedicato la doppietta, come ha fatto Hakimi con la sua nazionale. Marotta dice che l’Inter lo aspetta a braccia aperte, e che lo teniamo stretto.

La realtà è un po’ più agrodolce. Bisogna capire i perchè di una cosa del genere, certo come sono dei controlli scrupolosi cui club come Ajax, Tottenham ed Inter lo abbiamo sempre sottoposto, se lascerà strascichi e perché si è verificata. Solo dopo si potrà fare qualsiasi altra ipotesi legata alla sua vita da professionista, che al momento sembra un’utopia. Ieri sera potevamo essere qui a parlare se fosse il caso di ritirare la maglia o intitolargli qualcosa a San Siro. La sola vita che ci interessa è quella reale, e quella, grazie a Kjaer e ai medici, potrà sicuramente proseguire.

E questo basta per essere felici.

Mikhail
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Mikhail
Cintura nera di interismo da sempre, fonda Progetto Inter come angolo di sfogo, insieme al fratello Alessandro. Orfano di Christian Eriksen, ma sicuro che Inzaghi non possa mai essere più indisponente di Antonio Conte.